Dalla crisi di impresa possono derivare diverse forme di responsabilità penale, che attengono tanto alla sfera fallimentare quanto a quella fiscale. A spiegarle è Lorenzo Bertacco, partner di Aiello Avvocati Associati.
Quali sono le principali responsabilità penali legate alla crisi di impresa?
In una sommaria ricognizione delle principali fonti di responsabilità penale, vanno anzitutto menzionate le fattispecie disciplinate in materia penal-fallimentare e quindi, principalmente, le diverse ipotesi di bancarotta e ricorso abusivo al credito previste dal Codice della Crisi d’Impresa, che sostituisce il previgente impianto della legge fallimentare. La novella non è intervenuta direttamente sull’architettura tradizionale della materia, salvo per le misure premiali dell’art. 25. Le fattispecie incriminatrici sono rimaste sostanzialmente immutate. Indomito, il legislatore continua a perseguire tali ipotesi, con identica risposta sanzionatoria draconiana (reclusione da 3 a 10 anni), ed un’irragionevole parificazione tra fattispecie di pericolo (bancarotta distrattiva) e di evento (bancarotta da reato societario), a cui segue come distillato empirico, nelle imputazioni che approdano nelle aule di Tribunale, l’irrazionale abuso delle prime rispetto alle seconde, forse per una più facile impostazione della prova d’accusa. Resta l’evidente violazione dei basilari principi di tassatività e specialità della contestazione penale. Se i reati fallimentari costituiscono l’evento più prossimo della crisi di impresa, vanno altresì citate le fattispecie previste dalla normativa penal-tributaria, che possono insorgere, di riflesso, dallo stato di tensione economica e finanziaria dell’attività imprenditoriale: infedele e/o omessa dichiarazione, indebita compensazione di crediti, omesso versamento di Iva e ritenute. Per fortuna, si registrano le prime pronunce assolutorie dell’imprenditore che, costretto alla sopravvivenza, ha preferito mantenere in vita l’azienda omettendo temporaneamente i versamenti di imposta. Potremmo parlare di vero e proprio stato di necessità.
Qual è l’impatto dell’emergenza sanitaria sui rischi penali connessi alla crisi di impresa?
L’emergenza sanitaria ha certamente acuito i rischi di insolvenza connessi all’oggettiva, spesso improvvisa, impossibilità a svolgere l’attività di impresa. È definitivamente mutato il mercato di riferimento, e la propensione al consumo. Le misure introdotte dal Governo per fronteggiare gli effetti economici dell’epidemia Covid-19 (DL Liquidità, DL Rilancio) non sembrano allo stato efficaci; si doveva intervenire con coraggio su struttura dei costi fissi delle aziende e sull’impianto di imposizione fiscale nel periodo Covid. Nascono nuove e diverse aree di possibili reati economici. II Procuratore Generale della Corte di Cassazione recentemente, nel fornire orientamenti sul ruolo del Pm nell’applicazione della legislazione emergenziale in tema di crisi di impresa, ha evidenziato i rischi connessi all’imponente flusso di risorse pubbliche in arrivo. Prospettive da sempre appetibili per la criminalità organizzata, e terreno fertile insomma per aumento di fenomeni di usura in danno di imprese o riciclaggio di denaro di provenienza illecita.