La tutela del know how nell’era digitale

L'utilizzo delle tecnologie innovative è strategico per il business, ma serve più attenzione nella difesa dei reati informatici. Mentre il contenzioso si estende a nuovi settori 
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L’utilizzo delle tecnologie innovative è strategico per il business, ma serve più attenzione nella difesa dei reati informatici. Mentre il contenzioso si estende a nuovi settori

Indipendentemente dal settore industriale di appartenenza, oggi la gestione del patrimonio Ip riveste un’importanza strategica per un’azienda. Le ragioni sono molteplici: crescita del vantaggio competitivo, facilità di accesso alle agevolazioni e maggiore possibilità di attirare capitali e investimenti necessari a far crescere il business. Dal punto di vista delle norme italiane, negli ultimi anni sono stati numerosi i provvedimenti che hanno incentivato le imprese a individuare, valorizzare e tutelare il proprio know how, anche tramite sgravi di natura fiscale. È questo il caso del patent box, entrato in vigore nel 2015, che ha previsto un regime opzionale di tassazione agevolata per i redditi derivanti dall’utilizzazione di beni immateriali, e del ben più recente decreto dignità, che ha modificato la disciplina del credito d’imposta per attività di ricerca e sviluppo, prevedendo una restrizione del suo ambito oggettivo di applicazione con riferimento, in particolare, a taluni costi di acquisto, anche in licenza d’uso, di beni immateriali connessi a operazioni infragruppo.

Di proprietà intellettuale e tutela dei dati, se ne è ampiamente occupata anche l’Europa nel corso del 2018. L’ultimo intervento riguarda la direttiva di aggiornamento delle regole sul diritto d’autore nell’Unione europea, bocciata in prima battuta dal Parlamento europeo, per poi essere approvata a settembre in una nuova versione. Nell’adeguarsi alla direttiva comunitaria, volta a uniformare il sistema per quanto riguarda gli ostacoli alla leale concorrenza e alla competitività imprenditoriale, il 22 giugno è stato innovato il codice della proprietà industriale, che ha inciso in modo significativo sulla tutela del segreto commerciale. In primavera, infine, è stata la volta del Gdpr, il Regolamento europeo per la tutela dei dati personali, entrato in attuazione il 25 maggio scorso.

Sull’Europa incombe, poi, la spinosa questione che riguarda il progetto relativo al Tribunale unificato dei brevetti, rimasto in stand by prima con la Brexit e successivamente con il riscorso presentato davanti alla Corte Costituzionale tedesca. Il dibattito sui tribunali è strettamente legato all’andamento dei contenziosi, ridotti grazie all’introduzione delle Sezioni specializzate in materia di proprietà industriale ed intellettuale, ma in crescita per quanto riguarda le tipologie di reato, con l’avvento di nuovi crimini legati alla rivoluzione tecnologica. In che modo, dunque, un’azienda può promuovere il proprio know-how? Qual è il ruolo del consulente in questo processo? Qual è lo status delle normative e dei contenziosi connessi alla proprietà intellettuale? Le Fonti Legal lo ha chiesto agli esperti: Giovanna Bagnardi, partner di De Berti Jacchia; Luigi Boggio, Presidente e senior partner di Studio Torta; Sergio Di Nola, partner di Cdra; Niccolò Ferretti, partner di Nunziante Magrone, Angelo Giarda, fondatore dello Studio legale Giarda e Massimiliano Mostardini, partner di Bird & Bird.

Promuovere il patrimonio L’asset intangibile delle aziende è ormai divenuto la parte predominante del patrimonio di gran parte delle imprese. Una strategia di valorizzazione dello stesso, permette di ottenere tre principali vantaggi: un beneficio concorrenziale, la possibilità di finanziare l’impresa, l’accesso ad agevolazioni fiscali. Come sostiene Niccolò Ferretti, partner di Nunziante Magrone «affinché il patrimonio Ip rappresenti uno strumento concorrenziale, non solo le aziende devono preoccuparsi di brevettare le proprie invenzioni e di registrare i propri segni distintivi e modelli e disegni, ma devono poi attivarsi, anche giudizialmente, ove necessario, per tutelare i propri diritti di esclusiva dagli atti di contraffazione. Solo così, infatti, il monopolio legale costituito dal patrimonio Ip, potrà essere pienamente sfruttato. Oltretutto la difesa legale dei diritti comporterà anche un effetto deterrente nei confronti di eventuali competitor malintenzionati. Poche aziende sanno che l’asset intangibile può essere utilizzato quale garanzia per l’ottenimento di finanziamenti per lo sviluppo dell’attività imprenditoriale. Infatti, la costituzione di diritti reali di garanzia su marchi o brevetti, pur non essendo una strada percorsa di sovente dalle imprese, rappresenta una ottima opportunità per l’ottenimento di fondi». Ecco perché, a detta di Ferretti, sarebbe necessaria una campagna di divulgazione maggiore nei confronti degli imprenditori, ma soprattutto «una pervasiva e capillare attività di sensibilizzazione degli istituti di credito, affinché concedano più spesso finanziamenti garantiti da diritti Ip».

Lo status delle norme Numerosi sono stati i provvedimenti emanati nell’ultimo anno in tema di proprietà intellettuale. Il 12 settembre scorso il Parlamento europeo ha adottato la sua posizione sulla direttiva copyright, rafforzando, la tutela del diritto d’autore con riferimento alle piattaforme di condivisione e agli aggregatori di notizie. Al fine di sostenere le start-up e l’innovazione, il Parlamento ha previsto di escludere dall’ambito applicativo delle nuove disposizioni le piccole e micro imprese del web. La direttiva è in fase di negoziazione con le altre istituzioni nell’ambito della procedura legislativa ordinaria. Anche l’Italia non è stata da meno nella produzione normativa. Nel nostro Paese «il quadro normativo, al netto di qualche intervento fiscale, è stabile», afferma Sergio Di Nola, partner di Cdra, «e tutto sommato allineato alla disciplina dei paesi leader. Qualche affinamento sarà necessario, invece, nei prossimi anni in tema di protezione e valorizzazione dei big data. Inoltre, bisogna considerare il rapporto sempre più stretto tra Ip&It e concorrenza».

«Nel giugno scorso», continua Giovanna Bagnardi, partner di De Berti Jacchia «è entrato in vigore il D.Lgs. 63/2018, di attuazione della Direttiva (Ue) 2016/943 sulla protezione dei segreti commerciali, che ha modificato il codice della proprietà industriale e il codice penale nell’ottica di rafforzare la tutela dei segreti commerciali». Meno recente ma altrettanto importante è stato il decreto patent box, «che nell’ambito del regime opzionale di tassazione per i redditi derivanti dall’utilizzo di beni protetti da diritti di proprietà intellettuale, con l’eccezione dei marchi d’impresa, prevede agevolazioni specifiche per le pmi», dice Bagnardi.

Per quanto attiene alla protezione dei dati personali, e in generale alla privacy, a partire dallo scorso maggio 2018 si è applicato il Regolamento (Ue) 2016/679, il cosiddetto Gdpr. «Quest’ultimo prevede alcune eccezioni, per esempio, per le pmi, che in presenza di meno di 250 dipendenti non sono tenute a tenere un registro delle loro attività di trattamento né nominare un responsabile della protezione dei dati, a meno che il trattamento dei dati personali non costituisca l’attività principale. Infine, sempre in materia di protezione dei dati personali va menzionato il recentissimo D.Lgs 101/2018 del 10 agosto di attuazione del Regolamento comunitario Gdpr e di modifica del D.Lgs 196/2003», conclude Bagnardi.

Il ruolo del legale Nel valorizzare al meglio il patrimonio Ip, un ruolo chiave è quello svolto dai legali: «Bisogna passare da una logica meramente protettiva dei propri intangibili ad una logica strategica e di sviluppo. In concreto l’avvocato non deve essere consultato in sede di conflitti e controversie, ma per imbastire insieme all’impresa la propria strategia di brevettazione o di branding in modo da ridurre i rischi legali dell’investimento ex ante», afferma Di Nola. Ferretti suggerisce un riavvicinamento della dottrina alla prassi: «Mentre la prima propende infatti per la costituzione di ipoteche, in concreto si ricorre quasi sempre alla costituzione del pegno sui diritti Ip».

Rischi e prevenzione L’evoluzione tecnologica, caratterizzata da una maggiore fruizione e diffusione di informazioni e dati, ha generato nuove tipologie di rischio ad essa connesse. Basti pensare, ad esempio, alla sottrazione di dati personali da database di amministrazioni pubbliche, imprese o siti web, agli attacchi ransomware e alle frodi legate ai mezzi di pagamento elettronici. «I rischi», spiega Di Nola «sono di natura soprattutto reputazionale. Pensiamo al furto di dati subito da una Banca o da una società di utility. Anche qui bisogna approfittare di alcune “scadenze” legislative, ovvero l’adeguamento al Gdpr in relazione alla privacy, per impostare una concreta ricognizione ed un altrettanto concreto action plan correttivo». «Questi rischi», aggiunge Bagnardi «si possono ridurre mediante l’adozione di misure comuni come l’utilizzo di firewall, programmi antivirus e sistemi di password sicure. Tuttavia, è opportuno adottare anche misure più sofisticate e “su misura” come la redazione di best practices. Le best practices devono includere una valutazione dei livelli di sicurezza informatica dell’impresa e dei protocolli esistenti, compresi quelli di risposta ad eventuali crisi conseguenti ad attacchi, l’analisi dei dati personali raccolti dall’impresa e il modo in cui essi vengono conservati, l’analisi dei contratti con controparti commerciali e il loro sistema di gestione e/o scambio dei dati personali raccolti. È infine opportuno redigere e divulgare le procedure che i dipendenti sono tenuti a seguire al fine di evitare di compromettere la rete aziendale o violare le norme poste a tutela dei dati personali e per gestire eventuali attacchi informatici e/o furti di dati».

Andamento dei contenziosi La digitalizzazione dei servizi, quindi, ha inciso sull’andamento delle cause. A detta degli esperti, infatti, i settori che registrano il maggiore numero di cause sono quello farmaceutico, dell’elettronica e meccanico, a cui si aggiungono, secondo Di Nola «i produttori di banche dati organizzate».  Luigi Boggio, Presidente e senior partner di Studio Torta, evidenzia una crescita del contenzioso nel campo automotive, «nel quale, oltre alle innovazioni meccaniche ed elettroniche, si riscontra un alto tasso di applicazioni sia di matrice Ict, sia di tecnologie per l’ambiente.  I numerosi interventi legislativi, in particolare l’istituzione delle sezioni specializzate presso i Tribunali delle imprese dove operano giudici altamente qualificati nel campo della proprietà industriale, hanno sensibilmente migliorato la situazione del nostro sistema». «Ci si attende un aumento di casi nel settore delle biotecnologie e delle cosiddette disruptive technologies, quali le stampanti 3D e i materiali di nuova generazione», sostiene Massimiliano Mostardini, partner di Bird & Bird. Il fenomeno però più attuale e complesso è quello dell’impatto della digitalizzazione in settori fino a ieri caratterizzati da un basso livello tecnologico. «Non vi è ormai prodotto», continua Mostardini «che non sia impattato dal mondo digital e così territori vergini come quello finanziario, delle assicurazioni, dell’arredamento, della moda, del food, non possono non fare i conti con microchip, software, firmware, cloud, big data, standard essenziali, patent pools etc. Questo comporterà per settori scevri dalla cultura brevettuale l’immediato incontro con il mondo delle tecnologie avanzate, con i conseguenti rischi di azioni giudiziali di inibitoria e rilevanti risarcimenti dei danni. È quindi essenziale che anche questi settori adottino al più presto presidi di controllo quali quelli offerti dai cosiddetti pareri di Freedom to operate (Fto) e da una corretta attività di brevettazione delle proprie invenzioni; grave sarà l’errore di chi non riterrà di adottare un approccio strategico ai brevetti: la cultura brevettuale e della proprietà intellettuale deve allargare le braccia a tutti i settori dell’economia, nessuno escluso». Sull’andamento delle cause brevettuali inciderà significativamente il Tribunale unificato dei brevetti: «il presumibile varo della Upc (Unified patent court) contribuirà certamente a trasferire a livello europeo alcune competenze riguardanti il radicamento delle cause brevettuali», afferma Boggio. Il progetto, però, frutto di un lunghissimo processo iniziato decadi fa, non sembra davvero godere della fortuna che meriterebbe.

Come sostiene Ferretti «l’iter di costituzione del Tribunale unificato dei brevetti ha subito una battuta d’arresto, prima imputabile alla Brexit e successivamente conseguente al riscorso presentato davanti alla Corte Costituzionale tedesca. L’uscita del Regno Unito dalla Unione non ha impedito ai politici di oltremanica la ratifica dell’Accordo. Tuttavia, permangono notevoli perplessità sul fatto che uno stato non Membro della Unione possa tecnicamente continuare a far parte del Tribunale unificato dei brevetti. A tal riguardo sarebbe necessaria una modifica dell’Accordo che ovviamente richiederebbe tempi tecnici non brevi, sempre che si dia per scontata una convergenza di volontà degli Stati coinvolti. D’altro canto, anche ove si superasse lo scoglio del Regno Unito, circostanza assolutamente non scontata, rimarrebbe sempre da dirimere la questione di legittimità costituzionale posta alla competente Corte tedesca, che potrebbe interpellare a sua volta la Corte di Giustizia dell’Unione Europea. In concreto gli eventi di cui detto hanno paralizzato tra l’altro anche l’attività di selezione e reclutamento dei giudici. In conclusione, quindi, e volendo essere realisti, non pare che ci si possa attendere un rapido superamento degli ostacoli di cui detto». Dello stesso avviso è Di Nola che, non vede rapidità nei processi e soprattutto consapevolezza dei policy maker.

Disciplina penale L’evoluzione tecnologica ha inciso anche nel diritto penale, per il quale è stato necessario estendere e adattare il quadro di riferimento, al fine di garantire una tutela completa ai diritti di proprietà intellettuale. «La prassi attesta una sempre maggior diffusione di reati connessi all’utilizzo di internet», spiega Angelo Giarda dello Studio legale Giarda «come la vendita di merce contraffatta su piattaforme di vendita on line, per la quale pacificamente risultano integrati i reati di cui agli artt. 473 e 474 c.p. o finanche l’art. 648 c.p.; la diffusione di opere dell’ingegno in violazione del copyright, per cui l’attuale disciplina penale ha come punto di riferimento la L. 633/1941, che sarà certamente oggetto di modifiche a seguito della recente Direttiva sul copyright, approvata dal Parlamento europeo il 12 settembre scorso e volta a bilanciare il rapporto tra social network, motori di ricerca (google, facebook e gli altri) e gli editori, che da tempo lamentano di subire uno sfruttamento dei loro contenuti da parte dei primi; non meno frequente l’utilizzo di domini di siti internet in violazione del diritto d’autore (con grafica e layout identici a quelli dei siti ufficiali), con concreto rischio di confusione nel consumatore finale, e spesso strutturati come e-store che offrono in vendita prodotti contraffatti: ipotesi sanzionate, rispettivamente, ai sensi degli artt. 171 L. 633/1941 e 640, 648, 473 e 474 c.p., oltre che dall’art. 513 c.p. per la turbata libertà del commercio. Se certamente un’attività preventiva risulta difficile, soprattutto a fronte delle difficoltà connesse alla scoperta delle condotte che si celano nel web, pervasive appaiono le misure adottabili dopo l’individuazione delle stesse condotte: oltre alla possibilità di avanzare richiesta di sequestro preventivo, ormai pacificamente ammesso anche per i siti internet, non può dimenticarsi che tutti i reati sopra richiamati costituiscono reati-presupposto per l’applicazione della responsabilità amministrativa degli enti di cui al d.lgs. 231/2001: ove dietro tali illecite condotte si celasse, dunque, una società, sarebbero applicabili anche sanzioni interdittive, strumenti efficacemente deterrenti rispetto ad una nuova, ma certo non meno invasiva, forma di criminalità».

A cura di Federica Chiezzi

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