Il tabù delle specializzazioni

Il futuro delle professioni passa dalle specializzazioni. Già da tempo mondo imprenditoriale e finanziario richiedono al professionista una sempre più alta qualificazione nella specifica materia, con buona pace dell’avvocato o del commercialista “tuttofare”. Peccato però che gli ordini professionali non siano ancora riusciti a mettere giù una riforma che vada in questa direzione.

O meglio, quelle intentate sono tutte naufragate. È ancora lettera morta il tentativo portato avanti dal Consiglio nazionale forense, che ha scatenato una guerra interna alla categoria finita sui tavoli dei giudici amministrativi. Una querelle infinita che va avanti ormai da quattro anni, da quando il regolamento che istituiva le specializzazioni forensi (dm n. 144/2015), entrato in vigore a novembre 2015, è stato impugnato da una parte della categoria. Il Tar del Lazio prima e il Consiglio di stato poi, hanno dichiarato l’illegittimità dell’impianto normativo, e in particolare dell’elenco dei settori di specializzazione.

Solo a metà 2018, e dopo che lo stesso ministero della giustizia, guidato all’epoca da Andrea Orlando, ha scelto di perseguire le vie giudiziarie anziché modificare la norma, è stato diffuso uno schema di decreto di modifica del regolamento bocciato da Palazzo Spada. Da allora, più nulla. Stessa sorte per i commercialisti.

Il progetto di istituzione delle specializzazioni è partito più di tre anni fa, con l’avvio delle Scuole di alta formazione in tutta Italia che oggi sfornano attestati da utilizzare per richiedere il riconoscimento del titolo di specializzazione nello specifico settore. Piccolo dettaglio: manca la norma che istituisce il commercialista specialista.

Come documentiamo in questo numero di Le Fonti Legal, infatti, i ripetuti tentativi del Consiglio nazionale di portare a casa le specializzazioni sono finiti nel nulla, da ultimo con l’emendamento presentato dalla Lega al decreto Crescita ritenuto non ammissibile per materia. Ma non basta. Perché, come nel caso degli avvocati, le specializzazioni hanno spaccato la categoria: da un lato il Consiglio nazionale, che ha costruito le fondamenta con il progetto delle Scuole in attesa dell’impianto normativo, dall’altro le associazioni sindacali, che ritengono le specializzazioni troppo costose e discriminanti, nel senso che creerebbero un commercialista di serie A e uno di serie B.

In un’indagine promossa da una di queste associazioni, inoltre, quasi il 75 per cento degli interpellati le ha bocciate. Segno di quanto la questione sia divisiva e di quanto si sia lontani da una soluzione.
Ma il tempo manca: il mercato non aspetta e i professionisti hanno bisogno di tutti gli strumenti per poter essere competitivi. Spetta agli ordini trovare la chiave per adattarsi alla velocità dei cambiamenti, mettendo da parte le lotte intestine di rappresentanza e di potere. Oppure, sarà inevitabile l’estinzione.

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