I reati fiscali entrano nella 231

Il 17 dicembre 2019 il Senato ha definitivamente approvato la legge n.157 del 2019 di conversione del decreto legge n.124 del 2019 recante disposizioni urgenti in materia fiscale.

Il 17 dicembre 2019 il Senato ha definitivamente approvato la legge n.157 del 2019 di conversione del decreto legge n.124 del 2019 recante disposizioni urgenti in materia fiscale.

Tra le modifiche più rilevanti del decreto, ribattezzato dal Governo “manette agli evasori”, ci sono l’inasprimento delle pene per gran parte dei reati tributari, l’abbassamento di alcune soglie di punibilità e l’introduzione della confisca “per sproporzione”. Ma la vera novità riguarda la disciplina della responsabilità amministrativa degli enti con l’inserimento dei reati tributari nel D.Lgs 231/2001. Mossa dalla volontà di ridurre l’evasione fiscale, la riforma avrà degli impatti dirompenti sia sulla gestione delle imprese che sull’attività dei consulenti: le prime saranno soggette a controlli serrati sugli aspetti finanziari e procedurali e saranno obbligate a rivedere i modelli organizzativi interni con un approccio preventivo; i secondi saranno chiamati ad affiancare i clienti e fornire una consulenza multidisciplinare per presidiare e prevenire i rischi penal-tributari. Nei confronti della nuova architettura normativa non mancano le critiche: la maggiore riguarda i limiti del ne bis in idem, a causa della possibile duplicazione o triplicazione sanzionatoria in capo all’ente cui sono riferite le violazioni penali.
Per fare il punto sul nuovo quadro normativo e sulle possibili conseguenze su imprese e studi legali, Le Fonti Legal ha intervistato Patrizio Braccioni, partner di LED Taxand e Antonino Taranto, managing partner della sede di Milano di TmdpLex.

Riforma dei reati tributari, le novità
La recente riforma è improntata ad un inasprimento della politica sanzionatoria in materia penal-tributaria, in netta controtendenza rispetto alla precedente riforma del 2015: «In prima battuta», spiega Taranto «la riforma è imperniata su un significativo irrigidimento sanzionatorio che poggia sia sull’innalzamento delle cornici edittali che sull’abbassamento delle soglie di non punibilità. Tra le novità più rilevanti, la riforma ha innalzato le sanzioni per l’art. 2 (“dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti”), per il quale la pena viene elevata dalla reclusione da un anno e sei mesi a sei anni a quella della reclusione da 4 a 8 anni, per l’art. 3 (dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici), i cui limiti di pena sono stati portati da tre ad otto anni, per l’art. 4 (dichiarazione infedele) con la previsione della reclusione da due anni a quattro anni e sei mesi (le sanzioni previgenti andavano da uno a tre anni), per il reato di omessa dichiarazione (art. 5), il cui minimo edittale viene raddoppiato, portandolo a 2 anni, e il cui massimo edittale viene elevato a 5 anni, per il reato di occultamento o distruzione di documenti contabili (art. 10), ove si passa ad una cornice che va da un minimo di 3 anni a un massimo di 7 anni di reclusione e per il reato di emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (art. 8), ove la pena viene elevata da 4 a 8 anni. Nessuna modifica invece è stata apportata alle fattispecie di omesso versamento di cui agli artt. 10 bis e 10 ter, le cui soglie quantitative, che pure erano state abbassate in sede di approvazione del decreto legge, con la legge di conversione sono state riportate ai livelli introdotti dalla riforma del 2015 (150mila euro per l’omesso versamento di ritenute certificate ed 250.000 euro per l’omesso versamento dell’Iva). Significativa poi è l’introduzione di un nuovo art. 12-ter, che prevede l’applicabilità della cosiddetta confisca allargata ex art. 240-bis c.p. in caso di condanna o patteggiamento per una serie di delitti indicati dalla norma stessa (artt. 2, 3, 8, 11), allorché l’evasione fiscale superi una certa entità valoriale (100.000 euro o 200.000 euro, a seconda dei casi). L’innovazione, ritenuta da Taranto «di maggior rilievo», è stato l’ingresso di alcuni reati tributari nel catalogo dei reati-presupposto della responsabilità dell’ente ex D.Lgs. 231/2001, mediante l’introduzione del nuovo art. 25-quinquiesdecies. «Questo prevede la responsabilità delle persone giuridiche in relazione alla commissione dei reati tributari di dichiarazione fraudolenta mediante l’uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici, emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, occultamento o distruzione di documenti contabili e di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte».

Gli effetti della “nuova” responsabilità sulla governance delle imprese
L’estensione dei modelli organizzativi 231 ai reati tributari comporta notevoli conseguenze in capo agli enti.
A detta di Braccioni le conseguenze sulla governance delle imprese saranno molto rilevanti, non tanto sul piano economico (costi) quanto su quello “culturale”: «D’ora in avanti il concetto principale sarà la “prevenzione” del rischio fiscale e non la “gestione” del rischio, cioè occorrerà spostare di molto l’attenzione verso l’origine di questo rischio al fine di prevenirlo e non più sulla gestione dello stesso una volta che si sia concretizzato. Questo richiede sicuramente qualche aggiornamento organizzativo, di processo e di presidio, ma soprattutto un diverso approccio culturale: una corporate tax governance adeguata». Entrando nello specifico delle sanzioni, come spiega Taranto, «l’entrata in vigore dell’art. 25 quinquiesdecies comporta in capo all’ente la sanzione pecuniaria fino a cinquecento quote, per il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti previsto dall’art. 2, comma 1; la sanzione pecuniaria fino a quattrocento quote per il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti previsto dall’art. 2, comma 2-bis; la sanzione pecuniaria fino a cinquecento quote per il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici previsto dall’art. 3; la sanzione pecuniaria fino a cinquecento quote per il delitto di emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti previsto dall’art. 8, comma 1; la sanzione pecuniaria fino a quattrocento quote per il delitto di emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti previsto dall’art. 8, comma 2-bis; la sanzione pecuniaria fino a quattrocento quote per il delitto di occultamento o distruzione di documenti contabili previsto dall’art. 10; la sanzione pecuniaria fino a quattrocento quote per il delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte previsto dall’art. 11. Tali sanzioni sono poi aumentate di un terzo, nell’ipotesi in cui l’ente abbia conseguito un profitto di rilevante entità, e trovano applicazioni le sanzioni interdittive previste dall’art. 9 del D.Lgs. 231/2001 (divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio, esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e l’eventuale revoca di quelli già concessi, divieto di pubblicizzare beni o servizi)». Di conseguenza l’opinione di Taranto è che la riforma rende indispensabile una modifica dei modelli organizzativi attualmente vigenti, «così da prevenire il rischio derivante dalla commissione dei reati presupposto appena menzionati. Se da un lato, è infatti verosimile ritenere che i modelli particolarmente analitici possano già comunque prevedere apposite procedure finalizzate a contenere anche la commissione di tali reati, d’altro canto non si può tacere che la recente riforma renderà necessario anche per questi modelli un adattamento dei protocolli aziendali attualmente in essere. In questo senso, un ruolo di impulso potrebbe arrivare anche dalle indicazioni degli Organismi di vigilanza attualmente in carica, i quali potrebbero indicare l’adozione (anche temporanea) di procedure di prevenzione, in attesa di definire i necessari aggiornamenti imposti dalla Riforma». Per quanto riguarda il ruolo e i poteri della Guardia di finanza e dell’Agenzia delle entrate, sebbene a detta di Braccioni non vi sono nuove disposizioni specifiche in questo ambito, «l’interazione più stretta fra procedimento penale e procedimento amministrativo-tributario che consegue alla riforma in oggetto accresce sicuramente, almeno sul piano operativo e di fatto, sia il ruolo sia i poteri di entrambi gli organismi».

I limiti della riforma
Sebbene la riforma nasca sotto l’auspicio di una considerevole riduzione dell’evasione, presenta degli aspetti controversi che Braccioni definisce «possibili criticità di sistema». «Mi riferisco», spiega Braccioni «al principio del ne bis in idem, principio di natura costituzionale sia a livello nazionale, sia a livello comunitario sia a livello della Carta Europea dei Diritti dell’Uomo (che non sempre coincide con quello comunitario), che rischia di essere violato. Va bene sanzionare con severità le imprese che frodano il fisco, ma, a seguito di questa riforma, il risparmio fiscale illecito può venire sanzionato (e sequestrato) una volta per via penale, una seconda volta per via amministrativa, una terza volta secondo il sistema sanzionatorio del decreto 231. Il principio del ne bis in idem, al contrario, prevede che per una violazione della legge si subiscano sanzioni una volta sola. Esemplare in Italia è il caso delle sanzioni per il reato di market abuse, che dovrebbe far riflettere il legislatore tributario».
«La riforma», aggiunge Taranto «nasce con il chiaro scopo di contrastare l’evasione fiscale, conferendo nelle intenzioni del legislatore, maggiori poteri all’Autorità procedente. È in questo senso che vanno lette le novità appena evidenziate. Pensiamo all’innalzamento delle soglie edittali: tale innalzamento dilata i tempi di prescrizione, complica i meccanismi per addivenire al patteggiamento e, infine, potrebbe in astratto consentire (per i delitti puniti nel massimo con una pena superiore a 5 anni) la possibilità di procedere con le intercettazioni. Sempre nella stessa direzione, gli inasprimenti sanzionatori ampliano la possibilità di applicare misure precautelari e cautelari: in particolare, l’innalzamento della pena a cinque anni per la fattispecie di omessa dichiarazione ex art. 5 può astrattamente consentire l’applicazione della misura custodia cautelare anche per tale fattispecie), mentre l’inasprimento della cornice edittale per il reato di dichiarazione infedele ex art. 4 può astrattamente consentire la possibilità di applicare l’arresto (facoltativo) in flagranza e l’applicazione della misura degli arresti domiciliari». Due saranno gli aspetti che secondo Taranto accenderanno il dibattito: «In prima battuta, è verosimile aspettarsi che la previsione in capo all’ente di sanzioni amministrative ai sensi del D.Lgs. 231/2001 farà riemergere il dibattito intorno ai limiti del ne bis in idem e del doppio binario sanzionatorio, anche alla luce delle conseguenze sanzionatorie di carattere prettamente tributario in capo all’ente nell’ipotesi di violazioni tributarie. Sotto altro profilo, assumerà valore imprescindibile la tematica dell’estinzione del debito tributario. Come noto, ai sensi dell’art. 63 D.Lgs. 231/2001, la possibilità per l’ente di accedere al patteggiamento è inscindibilmente connessa alla possibilità per l’imputato di accedere al patteggiamento. Circostanza questa, si legge nell’art. 13 bis del D.Lgs. 74/2000, strettamente legata al pagamento del debito tributario da parte dell’imputato persona fisica. Ma non è tutto. Scorrendo il D.Lgs. 231/2001, si legge anche che l’art. 17 del D.Lgs. 231/2001 esclude la possibilità di applicare all’ente le sanzioni accessorie nell’ipotesi di riparazione delle conseguenze del danno prodotto, ossia in caso di estinzione del debito tributario».

Come cambia l’approccio del consulente
«L’inasprimento della lotta all’evasione fiscale», afferma Taranto «comporterà necessariamente un ripensamento dell’approccio del consulente (sia esso legale che commerciale) nella corporate governance nell’ottica di un approccio integrato volto a presidiare preventivamente il rischio penal-tributario per l’impresa.
In concreto, la natura di tale rischio si annida ontologicamente nei cicli contabili ed amministrativi dell’impresa, ove in astratto potrebbero annidarsi eventuali “distrazioni” contabili e/o fatturazioni false. Di conseguenza, il ruolo del consulente legale sarà quello di amalgamarsi con il ruolo dell’advisor contabile per definire preventivamente un sistema amministrativo, finanziario e contabile che sia in grado di garantire all’impresa piena trasparenza nei protocolli e nelle procedure che coinvolgono i centri di acquisto e di vendita dell’impresa.
In questo senso, la funzione legale, contabile e di compliance dovranno quindi necessariamente collaborare tra loro al fine di saldare ed adeguare le procedure interne così da rilevare, misurare e monitorare preventivamente il rischio fiscale.
Peraltro, TmdpLex, nel corso di questi ultimi anni, ha impostato la propria organizzazione nell’ottica di un approccio multidisciplinare ed integrato tra professionisti appartenenti a diverse aree di competenza, ma di interferenza reciproca. E’ proprio in questa direzione che lo studio ha creato – accanto al Dipartimento dedicato al diritto penale dell’economia, i dipartimenti interni di diritto civile e tributario fiscale, così da dotarsi di un team di lavoro specializzati per materie e in grado di fornire una consulenza a 360 gradi anche e soprattutto in fase preventiva, specie nella materia penal-tributaria».
Anche a detta di Braccioni gli impatti della riforma sull’attività dei consulenti saranno importanti: «LED Taxand è stato il primo in ordine di tempo a commentare pubblicamente la nuova normativa sul piano dei riflessi tributari ed aziendali ed ha seguito passo passo i suoi sviluppi con una focalizzazione forte sui temi del presidio del rischio fiscale e della prevenzione dei reati tributari».

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